L’edificazione del Maschio Angioino cominciò nel 1279, durante il regno di Carlo I d’Angiò, secondo il progetto dell’architetto francese Pierre de Chaule. La sua posizione strategica diede al castello non solo il ruolo di residenza reale, ma anche quello di fortezza.
Nel corso del regno di Roberto d’Angiò, il castello diventò un importante centro di cultura frequentato da medici, artisti come Giotto e letterati come Petrarca e Boccaccio. Dopo gli Angioini salirono sul trono gli Aragonesi con Alfonso I che, come i suoi predecessori, stabilì la sua dimora reale nel castello e cominciò i lavori di ricostruzione facendo erigere all’esterno, tra la Torre di Mezzo e quella di Guardia, il meraviglioso Arco di Trionfo, per rendere omaggio al suo grandioso ingresso in città.
Il dominio francese sostituì quello aragonese nel XV secolo, anche se tale presenza non durò a lungo perché i Francesi furono rimpiazzati dai viceré spagnoli ed austriaci. Nel corso del periodo vicereale l’organizzazione difensiva del castello venne nuovamente cambiata. Quando si impose il potere di Carlo III di Borbone, che sconfisse l’imperatore Carlo V nel 1734, Castel Nuovo venne attorniato da case, depositi e fabbriche di vario tipo.
Il Comune di Napoli nel 1920 ha cominciato i lavori di isolamento del castello dalle vicine costruzioni per valorizzarlo avendone riconosciuto il suo valore storico ed estetico. Anche la piazza antistante fu oggetto di una complessiva rivalutazione. Oggi il Maschio Angioino è destinato ad eventi culturali ed è anche la sede del Museo Civico. Il percorso museale si snoda tra la Sala dell’Armeria, la Cappella Palatina o di Santa Barbara, il primo ed il secondo piano della cortina meridionale insieme con la Sala Carlo V e la Sala della Loggia che ospitano le manifestazioni e le attività artistiche.
La Cappella Palatina
Il percorso museale inizia da questa cappella trecentesca che venne completamente affrescata con le storie del Vecchio e del Nuovo Testamento da Giotto e i suoi allievi. La Cappella e la vicina sacrestia accolgono prestigiose sculture del Rinascimento napoletano, tra cui è da evidenziare il bellissimo Tabernacolo con la Madonna e il Bambino, capolavoro giovanile di Domenico Gagini, allievo di Donatello e di Brunelleschi. Sulla parete in fondo alla sacrestia spiccano le due Madonne con il Bambino del dalmata Francesco Laurana, uno dei più importanti esponenti della scultura napoletana quattrocentesca.
La Sala dell’Armeria
Negli ambienti che si trovano sotto la Sala dei Baroni sono state recuperate delle importanti testimonianze archeologiche di età romana, databili tra la fine del I secolo a. C. e la seconda metà del V secolo d. C. Questa sala si chiama così perché un tempo aveva proprio la funzione di armeria. Successivamente però questa zona fu adoperata come necropoli, infatti sono state rinvenute circa cinquanta sepolture sia adulti che di giovani di entrambi i sessi, con un modesto corredo funerario.
La Sala dei Baroni nel Maschio Angioino
Era la “Sala Mayor” del Castello angioino, desiderata da Roberto D’Angiò ed affrescata da Giotto verso il 1330, con le rappresentazioni degli uomini e delle donne più conosciuti dell’antichità: Ercole, Salomone, Sansone, Ettore, Paride, Achille, Alessandro, Cesare ed Enea. Questa sala maestosa è la più famosa del Castello e viene denominata “Sala dei Baroni” perché nel 1486 furono arrestati qui i baroni che avevano preso parte alla congiura contro Ferrante I d’Aragona che li aveva invitati per la celebrazione delle nozze di sua nipote con il figlio del conte di Sarno. La stanza è illuminata dalla luce che proviene dal balcone detto “Trionfale”, riprendendo uno dei due bassorilievi che si trovano sugli architravi, dove è raffigurato il Corteo trionfale di Alfonso.
Le Cappelle del Purgatorio e di San Francesco
Questa cappella fu realizzata intorno al 1580-81 grazie ai cambiamenti del Castello voluti dai viceré spagnoli. Possiamo probabilmente identificare quest’ambiente con la trecentesca cappella di San Martino Tours, un tempo abbellita con gli affreschi degli avvenimenti della vita del Santo. Un’antica testimonianza ci dice che in questa cappella venne sepolto Giovanni, fratello del rivoluzionario Masaniello, poiché proprio in questo luogo i condannati a morte ricevevano i sacramenti prima di essere uccisi.
La piccola Cappella di San Francesco nel 1481 ospitò San Francesco di Paola nel corso del suo viaggio per . Lo splendore di un tempo è testimoniato solo dai tre dipinti su tavola che rappresentano la Visitazione, l’Annunciazione e il Viaggio di Maria a Betlemme di Nicola Russo e da alcune decorazioni in stucco dorato.
Il primo e secondo piano del Museo
I sotterranei sono costituiti da due zone situate nello spazio che si trova sotto la Cappella Palatina: la fossa del coccodrillo e la prigione dei Baroni. La fossa del coccodrillo, detta anche del miglio, era il deposito del grano della corte aragonese, ma era usata anche per segregare i prigionieri condannati a pene più severe. Un’antica leggenda narra di frequenti e misteriose sparizioni dei prigionieri a causa delle quali fu incrementata la vigilanza. Non si tardò a scoprire che queste scomparse avvenivano a causa di un coccodrillo che penetrava da un’apertura nel sotterraneo e trascinava in mare i detenuti per una gamba dopo averli azzannati. Una volta scoperto questo furono sottoposti alle fauci del rettile tutti i condannati che si volevano mandare a morte senza troppo scalpore. In seguito per ammazzare il coccodrillo si utilizzò come esca una grande coscia di cavallo e, una volta morto, venne impagliato ed agganciato sulla porta d’ingresso del Castello. Nella fossa dei Baroni invece si presentano al cospetto dei visitatori quattro bare senza alcuna iscrizione e sono probabilmente quelle dei nobili che presero parte alla congiura dei Baroni nel 1485.
Le prigioni del Maschio Angioino
Su questo piano sono esibite opere prevalentemente di committenza religiosa come l’Adorazione dei Magi opera di Cardisco. Una delle poche pitture di carattere non sacro è la Natura morta con pesci, opera di Giuseppe Recco. Come non poter poi ammirare la tela del San Nicola in Gloria, dipinto da un giovanissimo Luca Giordano, e il dipinto della Madonna del Rosario con santi, opera di Mattia Preti nel suo ultimo periodo del soggiorno a Malta. Bellissimo anche il Miracolo di San Giovanni di Dio del 1691 ad opera di Francesco Solimena.
Nel secondo piano sono esposte opere che vanno dal XVIII al XX secolo e nelle sale successive c’è una preziosa raccolta della pittura dell’Ottocento napoletano. Sono presenti due tele del grande Gioacchino Toma, eccellente pittore dell’Ottocento, e due sculture di Vincenzo Gemito.